"Ti prego di essere calmo e retto, corretto e coerente, sappia sfruttare l'esperienza delle sofferenze sofferti, non screditare tutto quello che ti dicono, cerca sempre la verità prima di parlare, e ricordati che non basta mai avere una sola prova per affrontare un ragionamento. Per essere certo in un ragionamento occorrono tre prove, e correttezza e coerenza". Questo scrive - un po' sgrammaticato - e predica, Bernardo Provenzano. Lo si è scoperto quando il suo reggente a Caltanissetta, Luigi Ilardo, decise di fare il confidente dei carabinieri e dal '94 iniziò a consegnare le lettere che si scambiava con il latitante: in due anni ne portò 14 (era l'inizio dell'indagine "Grande Oriente").
Dicevano che la violenza, assunta da Totò Riina a principio di ogni azione, doveva ritornare ad essere sottomessa ad un unico verbo, la mediazione. Don Bernardo lo ha da sempre difeso con la sacralità di un ministro devoto che si sente investito dall'alto, alla maniera dei vecchi padrini. In questo è stato sempre diverso da suo compare Riina: "Vi benedica il Signore e vi protegga... Sappia che là dove ti posso essere utile, con il volere di Dio, sono a tua completa disposizione..." conclude ogni lettera ai picciotti. E a voluto difendere il verbo della mediazione con il rigore di un padre buono verso la sua famiglia: "Ma cosa fanno?", scrive a Giovanni Brusca, chiedendogli dei figli di Salvatore Riina: "Chiedi da parte mia se potessero cercare di evitare cose sgradevoli. Fammi sapere se fanno di male e se è vero quello che sento di loro. Salva il salvabile, è una mia preghiera". |