La verità svelata da una cimice trent’anni dopo
Una microspia piazzata nell'auto del boss svela i segreti che neanche i pentiti avevano saputo raccontare. Per trent' anni, la strage di viale Lazio è stata un buco nero, e non da poco: l' omicidio del capomafia Michele Cavataio e di altre tre persone, segnò un' epoca per Palermo, l' avvio del sacco edilizio, un' imponente colata di cemento sulla città. 10 dicembre 1969: i nuovi padrini entravano in scena. Per trent' anni non se n' è saputo nulla. Solo un pentito, Antonino Calderone, si era fatto avanti nell' 89.
Adesso, la Procura di Palermo, ha un' intercettazione che conferma le indagini di Giovanni Falcone: fra i killer designati per aprire la nuova epoca mafiosa c' era Bernardo Provenzano. Fu lui a sparare a Cavataio. Allora era solo ‘u tratturi. «Dove passa lui non cresce più l' erba», aveva fatto mettere a verbale Calderone. Ma ‘u tratturi sarebbe presto diventato “il ragioniere”, oggi è il capo di Cosa nostra, latitante da sempre.
“Il sacco di Palermo? Ma cosa c' è qua?”, dice ironicamente Simone Castello, uno dei manager di Provenzano, a un interlocutore che è rimasto sconosciuto. È il 24 giugno del ' 97, nell' auto di Castello i carabinieri del Ros hanno piazzato una cimice: “Ma io non lo vedo questo sacco”, ribatte l' altro. “C' è la montagna, questa strada è bella dritta…”, riprende Castello. “Non è qua il sacco di Palermo?”, prosegue lo sconosciuto. “In viale Lazio”, dice il boss. E cominciano a parlare della strage: “Il Cavataio? Grande persona, ma fu sfortunato. Si gettò per morto ma poi gli finirono i colpi”. Così Provenzano si salvò. Cavataio aveva mirato in faccia, ma fece cilecca. Castello e il suo interlocutore parlano, citano i sicari di quel pomeriggio: “Damiano”, Damiano Caruso, “Emanuele”, Emanuele D' Agostino.
“Erano tutti vestiti da sbirri (…) Fecero pure minchiate — dice lo sconosciuto. Quello che ha scombinato tutto la giocata fu il tuo paesano”. E ricalca le parole di Calderone: “Caruso non si dimostrò all'altezza. Il trucco del travestimento fu sprecato subito, cominciò a sparare all' impazzata, senza colpire nessuno. E Cavataio uccise uno dei killer, Calogero Bagarella”. L' intercettazione è finita agli atti del processo "Grande Oriente", che di recente ha portato alla condanna di Castello a dieci anni di carcere. Ma è anche nel fascicolo della nuova indagine che la Procura di Palermo ha avviato sulla strage di viale Lazio. C' è da colmare quella sottovalutazione che per trent' anni ha protetto Bernardo Provenzano, che tutti credevano un rozzo killer e invece, come ha svelato nel ' 94 il pentito Gioacchino Pennino, “era diventato la mente della politica siciliana”.
Salvo Palazzolo |